Alla metà del film, nel suo intervallo dove un pallone sorvola la crepa della terra, vado via. Ne ho abbastanza, decido per il nulla, prendo la luce dell’intervallo per non invadere la proiezione, guardo con una smorfia la gente seduta e ciao. Qualcosa mi libera, di questa storia mostrata in grande, nella grotta di una Calabria muta, opposta a un grattacielo milanese in costruzione, nella teoria del cantiere perenne che sono gli uomini e i progetti. Gli uomini e i ricordi.
Guardo, sogno e son desto, non voglio sapere dov’è il centro della terra, seguo ugualmente la linea di caduta di un foglio di giornale incendiato, i riflessi tra le parti di roccia e gli echi di luce. Sul ritaglio la Loren mi sorride: non voglio perdermi senza lasciare niente, siamo noi questa coda stellare, il nostro brevissimo ritratto è il suono di una schiusa, di un lamento. Resto incantato a guardare un pastore che fa un fischio, seguo i richiami della speleologia, gli uomini si calano nel ventre di una terra come fa il sole. C’è un buco prima e dopo il nostro spezzone di tempo incrociato: se c’è una sfida abbiamo tutti perduto, o forse no. Nel precipizio una scia segna la strada nel buio assoluto, la illumina, per poco.
Non so come finisce il racconto, ho fermi i volti e i panorami, i fuochi notturni e le corde nel crepaccio che si chiama Bifurto, un abisso nel ventre del Pollino. A questo punto mi sta bene sparire, il finale è un contrario, ha una luce di alba. Nel fondo dove siamo diretti c’è quel che resta di un gioco, un pallone che sembra perduto sbatte contro lo spazio e il tempo. E in mezzo io, che vado fuori a cercarlo.
Il buco – Michelangelo Frammartino- 2021- Film