Che poi a che servono tutte le parole diverse dal racconto? Sono nella testa di chi è stato lì. A Napoli, nel cuore nero dell’amicizia. Una novella per il mondo, che parla del legame senza sconti dell’infanzia, e poi. Dove mi sono messa, nascosta al meglio adoperando carta e verità. Guardando da una smarginatura, da una fessura come un davanzale. Come ho fatto e continuato a fare, simulando i passi di chi non ha altro da mostrare. Allo stesso modo ero in platea, seguendo i volti e le reazioni del pubblico di un mondo veneziano, tra le stelle accorse al festival. Ho sentito la commozione e la vita attraversare le persone, direttamente nella polvere delle stradine povere di quando c’erano Lila e Lenu. Ho scelto una poltrona tra le tante, che nessuno mi riconosceva, lontano dalle file degli attori, dalle bambine e dalle personalità. Ho seguito con discrezione, a tratti emozionata dal ritorno che mi faceva quasi male. Che cosa c’entra tutto questo non me lo chiedo più: è altro nella testa di chi guarda, di chi legge. Ho sentito la voce degli attori, il rumore delle botte e le grida tra le mura di case cupe, modeste. Ho risalito le stesse scale raccontate, la disperazione e gli schiaffi senza colpa dei bambini, gli sguardi acuminati che nessuno di noi vuole ricordare mai. Mi sono messa a guardare, esattamente come rimettevo tutto in gioco con le parole. Sono stata americana, e prima ancora ho perso la mia infanzia a Napoli.
Che non importa se ero io, a fare sfide a un uomo che sembrava un mostro o un usuraio, con le bambole perdute apposta in uno scantinato. Non importa se ero io a sentire il suono secco di uno schiaffo, il fumo della sigaretta di mio padre o del padre di un’altra. Non importano i soldi dietro la rabbia della gente. Chi mi ha descritto non conosce che la sua realtà. La sua verità è la mia ed è davanti ai balconi di luce dell’infanzia, il momento disperato che ci ha detto il necessario.
Non importa se ero io alla festa sui canali, sui taxi del mare e il buio calante, la suggestione e la gioia dello spumante, i volti strafamosi e anonimi mischiati, dopo gli applausi e il rendiconto di anni e anni . La diffusione è quel che conta, il tempo in cui si legge o si pazienta il giorno dell’uscita, alla televisione o nelle date della cinematografia. Il tempo che ci ha preceduto, sacro e peccato, rimette insieme le cose, le tensioni che trovano pace e si fanno sfida. L’affresco cura gli angoli e i dettagli dove ho messo le parole. Soltanto, dovevo essere più attenta a scomparire, più invisibile, perdendomi il disegno delle mani e della faccia. Che rimaneva solo la mia pelle, attraversata da una storia, verso tutte le cose.
Non sono io Elena Ferrante, che guarda il mondo proprio e lo travasa in un racconto. Che ce lo fa vedere con tutto quel che costa a un cuore. E poi scompare.
Cronaca fantastica dalla presentazione al 75°Festival del cinema di Venezia della serie tv ”L’Amica geniale”, per la regia di Saverio Costanzo, coproduzione Rai-Fandango-Hbo, tratto dai romanzi di Elena Ferrante
Alfonso Tramontano Guerritore