Sento il freddo tagliente sulla faccia guardando una scena col vento sullo schermo, mi affaccio dalla sopraelevata con un senso di vertigine. Ascolto le parole nello spazio ovattato di un abitacolo, la luce lattiginosa attraversa i finestrini e mi impregna gli occhi. Scrivo al buio sulla carta spessa giallastra senza guardare, la sfera fa un rumore scivoloso.
A volte un eccesso di immaginazione mi conduce in un corpo che non voglio occupare, nelle parti di un’anima altra, in un luogo insensibile al dolore e alle ferite inferte. Il mondo permeabile delle cose si sfalda sotto i colpi del linguaggio per ricomporsi nello stesso modo.
Dimentico di essere su un’auto, perdo il filo di un discorso, ripasso le battute dei ricordi durante il tragitto. Sono il mio pubblico, in un luogo intimo che si fa scena, divento la prova di qualcosa.
«E vorrei non dire, tentare un rientro imprevisto»
«Desidero una distanza per sentire meglio le cose»
«Ho un pensiero d’amore multilingue che mi riporta a vite precedenti, a storie di altri»
«Perché certe cose sono tutte uguali»
«Peccatori che non siamo altro»
«Ti amo»
«Ti ringrazio»
Vedo un panorama edificarsi durante le conversazioni, parlo e ascolto, mi perdo e torno a fissare la bocca e gli occhi da un luogo altro. Per capire qualcuno bisogna guardare dentro noi stessi, fin dentro il nostro rumore di fondo: i sentimenti si avvicinano con idiomi e segnali, scatole di suoni e armi, un racconto si frantuma in milioni di pezzi di linguaggio. Nello spazio della comprensione le parole rivestono il senso e l’energia dei corpi: come i personaggi di un film e di un libro, riempiono gli spazi con le proprie storie. Tu per me sarai un continuo decifrare, intuire e vivere rivestito di calotte e pietre, e poi gesti e sguardi, ed eccoci.
Invece senza una sola frase il cuore riusciva a parlare e a dire schiantandosi.
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Drive my car- Ryûsuke Hamaguchi – film 2021
Tra le nostre parole- Katie Kitamura- Bollati Boringhieri 2021