One song

Scrivo di un brutto film per una questione di necessità. Perché la musica si insinui come la nebbia, tra le coscienze come per sua natura e le riavvolga, nella loro mistica naturale: e dunque fermate le armi come si ferma un colpo che non va a segno e sfiora il cuore, e lascia vivere e ripartire come una sveglia. Forte, decisa. Sussurrata.

Dunque la musica e le parole hanno uno spirito tale da calarsi nelle piazze, nei luoghi perduti del mondo e non. Ovunque nella polvere delle baracche, sulle zattere nel blu che non perdona, nel buio e nella luce che feriscono occhi e pelle, lungo i viaggi che non hanno altra ragione che la fuga.

Bob Marley era dappertutto fosse una rivoluzione e ancora è. Chiedi nelle radio di Kinshasa, di Sana’, di Beirut o Gaza. Nei quartieri monocolore delle città moderne. Dietro le vetrate e le sbarre. Anche se la musica sembra finita, essa permane in una forma immune di memoria. Perché se scrivo che la rivoluzione alberga assopita nel cuore di ogni uomo, dov’è oppressione e non c’è respiro, dove è ingiustizia e non c’è colore, guardo la retorica negli occhi e le resisto. Con una base reggae o un ballo qualunque. Con una fionda al cielo, a mani nude, con le mani alzate.  

Fuoco e schiavitù, parole e redenzione. Musica e messaggio, esodo e causa, oppressori e perdono. Rivelazione, vendetta. Musica. Pace.

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One love- Reinaldo Marcus Green- Film- 2024